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Un professionista che non apporta soluzioni è parte del problema.

La Spagna, un modello di rinascita per tutti. Italia compresa

Con una mossa di vantaggio su tutti gli altri partiti spagnoli e con due grandi alleati al suo Questa è una settimana decisiva per Pedro Sánchez, il plurivotato alle legislative e alle europee premier socialista che sta per formare il suo primo esecutivo da eletto. Un governo stabile che allontani lo sputacchio della crisi e dell’ingovernabilità. Almeno per i prossimi quattro anni. Consi di essere il primo partito di Spagna con oltre il 30 per cento, i Socialisti del bel Pedro hanno  chiaramente mostrato la volontà di governare senza grandi coalizioni e partiti di sostegno. Consi anche del grande e utile vantaggio che per la prima volta in otto anni hanno sul Partito Popolare (PP) di Pablo Casado.  Ma la forza di Sanchez, in questa fase, viene soprattutto da due grandi alleati: la crescita economica (+2,4%) e la relazione costruttiva instaurata con l’Europa e le sue istituzioni comunitarie. Questo comprende ottime relazioni anche con Germania e Francia, che Madrid ha saputo mantenere anche nei momenti più difficili. La prova di questo sono l’uscita della Spagna dalla procedura di deficit eccessivo dopo dieci anni, così come gli incontri di Sanchez, subito dopo il voto europeo, con Emmanuel Macron e Angela Merkel.

Sul lato politico interno, il Psoe ha vinto le elezioni ma, nel Parlamento più frammentato della storia democratica spagnola, hanno appena 123 seggi sui 350 complessivi: per arrivare alla maggioranza diventa quindi indispensabile trovare un accordo con gli altri partiti, guardando a sinistra e anche verso il centro-destra. Dopo aver ricevuto l’incarico da re Felipe VI, Sanchez non ha escluso alcuna possibilità ribadendo tuttavia di preferire un governo di minoranza del Psoe con l’appoggio soltanto esterno delle altre forze.

«Non c’è alternativa. O governa il Psoe o governa il Psoe. La prossima settimana – ha spiegato il leader socialista che fino a qui ha atteso senza fretta che parlassero gli altri – avvierò un giro di colloqui con i tre principali partiti che possono appoggiare e bloccare la creazione del nostro esecutivo». La trattativa si preannuncia non facile. I Popolari hanno già fatto sapere di non essere disposti a facilitare il lavoro ai Socialisti, nemmeno con l’astensione. La stessa chiusura (con l’aggiunta di veti nei confronti della sinistra anticapitalista e dei partiti nazionalisti catalani) è venuta da Ciudadanos, il movimento di centro che i mercati finanziari considerano il partner ideale per un governo affidabile.

Pablo Iglesias, il leader di Podemos che sarà il primo a incontrare Sanchez martedì prossimo, insiste perché si realizzi una coalizione di governo nella quale trovino spazi anche ministri del suo movimento. A complicare i piani dei Socialisti c’è inoltre sempre la questione catalana: gli indipendentisti di Barcellona sono rimasti per ora fuori dai giochi ma i loro 22 deputati (compresi quelli ancora in carcere e sotto processo per ribellione) potrebbero rivelarsi indispensabili per arrivare alla Moncloa.

«Sanchez è stato l’unico leader a proporre, durante la campagna, una mediazione e una possibile via d’uscita al rebus catalano. E alla luce dei risultati elettorali, possiamo affermare che la maggior parte degli elettori sembra volere la pace e la stabilità. Eppure i numeri e gli scontri personali tra i diversi capi di partito stanno ostacolando la nascita di un governo stabile e la prosecuzione di una legislatura produttiva», dice Alfredo Pastor, influente economista della Iese Business School, impegnato negli anni Novanta nel governo con i Socialisti, in passato nel board della Banca di Spagna e referente per la Banca mondiale nel Paese iberico. «Se si esclude la questione catalana, le differenze tra i grandi partiti sono abbastanza negoziabili, tuttavia – aggiunge Pastor – né Ciudadanos né i Popolari hanno mostrato l’intenzione di scendere a compromessi. Una coalizione di sinistra che includa anche la Sinistra repubblicana catalana potrebbe trovare un terreno comune nel breve periodo e ammorbidire il conflitto tra Madrid e Barcellona. Ma avrebbe i numeri per governare in modo stabile e fare le riforme per modernizzare l’economia spagnola? Anche se Sanchez ha in mano il gioco, nessuno sembra incline a rendergli la vita facile».

Sanchez sta diventando più forte in Europa: l’altra sera ha partecipato al vertice a sei di Bruxelles per facilitare il rinnovamento dei vertici delle istituzioni europee. Ed è sempre di più un riferimento per tutta l’area socialista continentale, per come ha saputo prevalere nella battaglia interna al partito e rilanciare il Psoe. Dentro i confini nazionali la lunga fase di espansione gli assicura consenso e credibilità. «L’anno è iniziato con una crescita più sostenuta di quanto avessimo previsto e ci sono segni anche nel secondo trimestre che indicano come l’economia stia ancora mantenendo un ritmo notevole», ha detto Oscar Arce, direttore generale dell’istituto centrale spagnolo: quest’anno dovrebbe chiudersi con un incremento del Pil pari al 2,4% (contro il 2,2% previsto lo scorso marzo), inferiore al dato del 2018 ma superiore a quello di tutte le altre grandi economie europee. «Nel 2020 e nel 2021 la crescita sarà invece dell’1,9% e dell’1,7 per cento, nonostante Brexit», ha affermato ancora Arce sottolineando i potenziali rischi legati «alla Brexit senza accordo, alle tensioni sul commercio internazionale e alle incertezze sulle politiche di bilancio del governo italiano».

Il Pil spagnolo corre e la disoccupazione scende (anche se resta molto alta, sopra il 13%) per il «lungo e duro percorso» fatto negli ultimi dieci anni, come ha riconosciuto la Commissione Ue: per Bruxelles il deficit quest’anno dovrebbe scendere al 2,3% e il debito al 96,3% del Pil. La Spagna sta sfruttando in pieno il lavoro fatto dai precedenti governi conservatori ma è Sanchez oggi a rappresentare la svolta. È lui ad avere la mossa di vantaggio. E tocca a lui la responsabilità di trovare un accordo per dare un governo alla Spagna. Non sarà facile, anche se potrà contare sul Pil e sull’Europa.