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Un professionista che non apporta soluzioni è parte del problema.

Terminato processo agli indipendentisti catalani

Si sono concluse lo scorso martedì presso il Tribunale Supremo di Spagna a Madrid le audizioni  del processo che lo Stato spagnolo ha intentato ad alcuni politici e attivisti catalani colpevoli dei reati di ribellione, sedizione e malversazione di denaro pubblico ai fini elettorali.

Il processo era iniziato a metà febbraio con grande clamore. Sul tavolo degli imputati, 12 personalità, sia leader politici sia esponenti della cosiddetta società civile, alcuni dei quali sono stati eletti o al Parlamento spagnolo  o al Parlamento europeo nelle ultime due elezioni in Spagna, quelle del 28 aprile e del 26 maggio. Tra i tanti Oriol Juqueras, ex vice presidente della Catalogna, presidente di Erc (la Sinistra Repubblicana Catalana) colpevole di avere disobbedito a Madrid e della dichiarazione unilaterale di indipendenza della comunità catalana. Junqueras è in stato di carcere preventivo dal novembre del 2017, assieme ad altri consiglieri politici e attivisti, tra cui Carmen Forcadel, presidente del Parlamento Catalano che è stato rinnovato nelle elezioni del dicembre 2017 su ordine dell’allora premier di centro-destra Mariano Rajoy. Tra gli imputati non presenti l’ex presidente catalano Carles Puigdemont, anch’egli eletto eurodeputato alle ultime elezioni e fuggito a Bruxelles dietro un mandato di catturaeuropeo, poi ritirato dei giudici di Madrid.

Nell’arringa finale,  Javier Zaragoza, uno dei quattro pubblici ministeri dell’accusa, ha presentato le sue conclusioni in aula, dopo settimane di fitte testimonianze e numerose ricostruzioni. Zaragoza ha confermato l’accusa di ribellione (che è la più grave e include fino a vent’anni di reclusione) per gli eventi accaduti in Catalogna nell’autunno 2017, che portarono alla famosa dichiarazione nel Parlamento di Barcellona in cui si dichiarava la Catalogna una Repubblica indipendente dal Regno di Spagna e da Madrid. La dichiarazione fu pronunciata per voce dell’ex presidente catalano, fuggito a Bruxelles,  Carles Puigdemont assieme alla Forcadel e a Junqueras con i maggiori deputati dell’emiciclo. Zaragoza ha chiaramente ha parlato per la prima volta di «colpo di stato», riferendosi ai tentativi dei politici indipendentisti di «derogare, sospendere totalmente o parzialmente la Costituzione per dichiarare l’indipendenza di una parte del territorio nazionale». Non era mai successo prima che il pm  usasse l’espressione «golpe de estado», una scelta che ha sorpreso diversi osservatori.

Prima che iniziasse il processo, molti quotidiani spagnoli, tra cui El País, avevano ipotizzato, ascoltando i pareri di alcuni giuristi e avvocati della difesa che i pm avrebbero ridimensionato le accuse contro gli imputati una volta arrivati alla presentazione delle conclusioni in aula. Le cose, tuttavia, sono andate molto diversamente. Durante il suo intervento di martedì, Zaragoza ha confermato le accuse di ribellione e ha negato che l’obiettivo del processo fossero le idee indipendentiste degli imputati, spiegando che: «Il motivo per cui siete processati non ha niente a che vedere con la criminalizzazione del dissenso politico. Non c’è persecuzione delle idee politiche o di progetti politici non compatibili con l’ordine costituzionale. La ragione è né più né meno l’aver tentato di liquidare la Costituzione del 1978, uno strumento fondamentale per la nostra convivenza»

Zaragoza ha usato anche un’altra espressione per descrivere gli eventi dell’autunno 2017 in Catalogna, che finora era stata impiegata solo dalla denuncia presentata da Vox, il  partito di estrema destra, molto critico nei confronti dell’indipendentismo catalano: ha detto che «quello che successe [in Catalogna] fu un colpo di stato». La tesi dei pm è che gli indipendentisti catalani non attentarono solo contro l’ordine pubblico, ma anche contro l’ordine costituzionale.

Finite tutte le audizioni, il verdetto è atteso per i primi di ottobre.