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Un professionista che non apporta soluzioni è parte del problema.

L’Unione europea blocca i turisti americani, russi e israeliani

Da una parte “i buoni”, dall’altra “i cattivi”. Così la Ue deciderà su quali sono i cittadini dei Paesi extra europei che possono volare in Europa dal primo luglio.

Le due liste sono in continua evoluzione. Gli ambasciatori dei 27 Paesi, dopo due giorni di trattative, non sono ancora d’accordo su chi non è un potenziale infettato e chi sia è positivo al Covid-19.

Così, l’Australia, il Canada o il Giappone sono nell’elenco dei «buoni», ma  gli Stati Uniti, la Russia, Israele, il Brasile, l’Arabia Saudita e la Turchia sono in quello dei «cattivi». La Cina, che ufficialmente dichiara tasso di contagio 0, è un caso speciale: i suoi «national» potranno entrare in Europa ma solo a condizione che anche le autorità di Pechino facciano altrettanto con gli europei a casa loro, il che al momento non succede.

Il Regno Unito, dove la pandemia continua purtroppo a registrare alti tassi di contagio, non è in alcuna lista: nonostante la Brexit infatti, durante il periodo di transizione Londra fa ancora formalmente parte dell’Ue e viene trattata come Paese membro.

I due elenchi non sono ancora definitivi. Giovedì scorso a Bruxelles si è riunita la  Coreper (il Comitato dei Rappresentanti permanenti alla Ue) ed è proseguita venerdì fino alle 22:30 per poi riprendere   sabato mattina. Probabilmente andrà avanti per tutto il fine settimana.

Il vero negoziato però non è stato sulle liste ma sui criteri della loro composizione. Tanto che all’inizio la lista dei «buoni» era addirittura più lunga di quella dei «cattivi»: 54 contro 47. Alcuni Paesi, come Grecia e Francia, erano preoccupati di bandire alcune nazionalità, per ragioni economiche, strategiche o turistiche, leggi soprattutto americani e israeliani.

L’Italia, che ha chiesto un maggior coordinamento da parte della Commissione europea, ha avuto un atteggiamento più prudente, che poi ha prevalso. I criteri sui quali è stata trovata l’intesa si sono così fatti più severi.

Tre sono quelli decisivi: un tasso di nuovi contagi ogni 100 mila persone nelle ultime due settimane non superiore a 16,1, che è la media europea; un trend di questi decrescente o quanto meno non in aumento, e soprattutto un indice di «affidabilità» del sistema sanitario di un dato Paese superiore a 57.

È questo il criterio più controverso perché anche il più politico. Il punteggio (da 1 a 100) viene infatti stabilito in base ai parametri fissati dall’International Health Regulations dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che misurano la capacità di risposta di una nazione a «emergenze sanitarie pubbliche di rilevanza internazionale»: test, posti letto in ospedale, posti di terapia intensiva, numero di medici e paramedici in rapporto alla popolazione, regole di prevenzione in vigore, qualità delle cure, monitoraggio, di tutto di più. 57 è appunto il voto medio della Ue.

Una volta raggiunto il consenso sui criteri, la lista dei «buoni» si è però assottigliata a una quindicina di Paesi: oltre a quelli già menzionati, Corea del Sud, Nuova Zelanda, Thailandia, Uruguay, Rwanda, Algeria, Marocco, Tunisia, Georgia, Montenegro, Serbia.

«Di fronte a una situazione che da ogni Paese non offre dati scientifici certi, è stato scelto di tenere la lista corta», dice un diplomatico europeo che partecipa alla trattativa. Potrà tuttavia essere rivista ogni due settimane, sulla base della periodica valutazione Paese per Paese.

Ma l’accordo definitivo non c’è ancora. L’avvio di una procedura scritta, preludio all’intesa, avverrà solo se non si formerà una minoranza di blocco, che lo renderebbe impossibile poiché c’è bisogno della maggioranza qualificata.

È importante notare che l’eventuale intesa non sarà vincolante, poiché la gestione delle frontiere rimane prerogativa degli Stati. Un Paese cioè potrebbe decidere di non aprire le sue frontiere ai cittadini di una o più nazioni che pure sono nella lista dei «buoni».

In compenso però, tutti i 27 si sono già impegnati a non accettare arrivi di cittadini provenienti dai Paesi sulla lista dei «cattivi»