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Cos’è il Juneteenth, e perché se ne parla

Il 19 giugno negli Stati Uniti si è celebrato il cosiddetto Juneteenth (da giugno, june, e diciannove, nineteenth), una ricorrenza annuale che ricorda la fine della schiavitù nel paese.

Le origini di questa festa che si celebra il 19 giugno di ogni anno negli Stati Uniti sono legati alla fine della schiavitù avvenuta il 19 giugno del 1865.

In questa data infatti, nel 1865, i soldati dell’Unione arrivarono a Galveston, in Texas, e annunciarono agli schiavi che la guerra civile era finita e la schiavitù abolita, quindi loro erano persone libere. Il Juneteenth viene celebrato da più di 150 anni soprattutto all’interno della comunità afroamericana, ma quest’anno, grazie alle proteste innescate dalla morte di George Floyd e portate avanti dai movimenti antirazzisti in molte città, ha assunto un valore particolare per una parte più ampia della popolazione.

Twitter, Vox Media, Nike e altre grandi aziende hanno annunciato che il 19 giugno sarà considerata festività aziendale per tutti i loro dipendenti statunitensi; pochi giorni fa il governatore della Virginia Ralph Northam e il governatore dello stato di New York Andrew Cuomo hanno annunciato di voler rendere ufficialmente il Juneteenth un giorno di festa per i lavoratori. Al momento è considerato una festività in 46 stati su 50, e la proposta ― sostenuta anche dal senatore Bernie Sanders ― di renderlo festa nazionale è ferma al Congresso dal 2018.

Dal 2018 è ferma al Congresso di Washington la proposta di fare del Juneteenth una festa nazionale con uffici e negozi chiusi. Tra i favorevoli il governatore dello Stato di New York Andrew Cuomo.

La Guerra civile americana, detta anche Guerra di secessione, iniziò nel 1861, quando sette stati del Sud decisero di separarsi dal resto dell’Unione perché contrari alla proposta degli stati del Nord di abolire la schiavitù. Nelle piantagioni degli stati del Sud infatti l’economia si reggeva interamente sul lavoro degli schiavi, che erano considerati di proprietà dei padroni e non avevano alcun diritto come lavoratori e in generale come esseri umani.

Dopo quasi tre anni di guerra, il primo gennaio 1863, il presidente Abraham Lincoln firmò il Proclama di emancipazione, un documento che imponeva la liberazione di tutti gli schiavi. Le truppe unioniste però impiegarono due anni e mezzo prima di riuscire a liberare gli schiavi in alcuni stati come il Texas, dove per anni continuò a comandare l’esercito sudista. Ad aprile le truppe secessioniste guidate dal generale Robert Lee si arresero ad Appomattox, in Virginia, segnando di fatto la fine della guerra, ma la notizia non arrivò immediatamente in Texas. Solo il 19 giugno il generale Gordon Granger entrò nella città di Galveston e annunciò la fine della guerra e la libertà di tutti gli schiavi.

Oltre a festeggiare la libertà e l’emancipazione degli schiavi afroamericani, quindi, celebrare il Juneteenth significa anche ricordare il ritardo con cui la nuova legge si affermò in alcuni stati del Sud, dove i proprietari terrieri bianchi cercarono di mantenere i loro privilegi il più a lungo possibile.

Il Presindete degli Stati Uniti Donald Trump all’interno del Tok Peter di Tulsa in Oklahoma dove il 19 giugno ha fatto il suo primo comizio dopo l’emergenza del Coronavirus, ma ha utilizzato proprio il giorno del Juneteenth facendo arrabbiare la comunità afroamericana.

Dal 1866, quando le persone nere liberate dalla schiavitù celebrarono per la prima volta l’anniversario del 19 giugno, nella comunità afroamericana il Juneteenth viene festeggiato con ritrovi, cortei, eventi sportivi e religiosi. Il Juneteenth ha una tradizione particolarmente solida negli stati del Sud vicini al Texas, come Louisiana, Arkansas e Oklahoma, ma anche negli stati che furono meta delle grandi migrazioni afroamericane dal Texas come California, Florida e Alabama. Tra alcuni discendenti di schiavi c’è la tradizione di recarsi in pellegrinaggio a Galveston, dove ogni anno a giugno arrivano circa diecimila persone. In altre città come Atlanta e Washington si svolgono parate ed eventi pubblici.

Quest’anno il numero e la grandezza degli eventi saranno da un lato limitati a causa del coronavirus, dall’altro anomali rispetto al solito perché nelle principali città statunitensi sono previste proteste, marce e manifestazioni organizzate da movimenti come Black Lives Matter. Per gli attivisti e le attiviste impegnate nelle proteste delle ultime settimane, il Juneteenth di quest’anno è un’occasione per collegare i fatti attuali alla lunga storia di discriminazioni razziali degli Stati Uniti e agli anni della schiavitù, che rappresentano per molti un trauma collettivo ancora insuperabile.

Prima di quest’anno però il Juneteenth – definita anche Giornata della libertà, Giornata dell’indipendenza e Giornata dell’emancipazione – era considerata una festa “minore”, il cui significato non viene insegnato nelle scuole e che per questo è rimasta nota quasi solo all’interno della comunità afroamericana e sconosciuta alla maggior parte dei bianchi. Per certi versi è anche stata penalizzata dall’esistenza di altre feste, come quella del vicino e molto più famoso 4 luglio, Giorno dell’indipendenza delle tredici colonie statunitensi dalla Gran Bretagna, o altre giornate dedicate alla celebrazione della fine della schiavitù: a New York il primo agosto, a Washington il 16 aprile. In un’intervista pubblicata ieri dal Wall Street Journal, Trump ha detto che il Juneteenth «è stato un evento importante, un momento importante, ma nessuno ne ha mai sentito parlare».

Il 19 giugno a Tulsa, in Oklahoma, si sarebbe dovuto tenere il primo grande comizio elettorale di Trump dall’inizio dell’emergenza sanitaria. Venerdì scorso, però, una settimana prima dell’evento, Trump ha annunciato che sarebbe stato spostato al giorno dopo in segno di rispetto per la comunità afroamericana. Nelle ultime settimane, Trump non si è mai mostrato comprensivo nei confronti delle istanze dei manifestanti e ha più volte minacciato l’intervento dell’esercito per contrastare le proteste. Per questo, il fatto che abbia scelto proprio la data del 19 giugno per il suo comizio elettorale è stato accolto da moltissime critiche, anche se Trump ha dichiarato che la scelta della data non aveva niente a che fare col Juneteenth.