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Un professionista che non apporta soluzioni è parte del problema.

Brexit, inversione a U sui controlli alle frontiere: primo effetto della crisi economica

Nel Regno Unito l’economia è in caduta libera, una conferma che il periodo di transizione non verrà prolungato e annuncio di un regime “morbido” di controlli al confine dopo Brexit. Nel mese di aprile il Pil ha subìto il crollo maggiore mai registrato nella storia: -20,4%, in netta accelerazione rispetto al -5,8% di marzo, secondo i dati dell’Ufficio nazionale di statistica (Ons).

L’impatto del lockdown per contenere l’epidemia di coronavirus è stato particolarmente negativo per un’economia basata sui consumi. Tutti i settori, con l’unica eccezione della farmaceutica, hanno subìto una contrazione. Come paragone, l’Ons ha rilevato che il dato mensile peggiore della crisi finanziaria era stato il -1% registrato nel marzo 2009.

Boris Johnson (1964) è pPrimo ministro del Regno Unito per Conservative and Unionist Party dal 24 luglio 2019

Nonostante la difficile situazione economica, il Governo di Boris Johnson ha confermato che non intende chiedere un allungamento del periodo di transizione, come richiesto dalle imprese e dai Governi autonomi di Scozia, Irlanda del Nord e Galles per avere più tempo per raggiungere un accordo commerciale con l’Unione Europea.

Il premier intende invece mantenere la promessa elettorale di “concludere Brexit” e finire il periodo di transizione il 31 dicembre di quest’anno, anche se non ci sarà un’intesa. C’è però un “contentino” per le imprese, che avevano chiesto a gran voce un rinvio.

Per attutire il doppio colpo di Brexit e Covid-19 per il business, il Governo britannico ha annunciato un’inversione a U sui controlli alla frontiera. Contrariamente a quanto proclamato in febbraio, le merci in arrivo dai Paesi Ue non verranno soggette a rigorosi controlli al confine britannico per sei mesi, anche in caso di “no deal”. I controlli a Dover e altri punti di ingresso verranno introdotti in modo graduale tra gennaio e luglio per dare tempo alle imprese di abituarsi alla nuova realtà. Anche il pagamento delle tariffe sarà differito.

Il Governo riconosce che le imprese non possono gestire contemporaneamente l’impatto dell’epidemia e code alle frontiere. «Saremo pragmatici e flessibili», ha detto il vicepremier Michael Gove. Il “tocco leggero” alle frontiere riguarda solo le merci in arrivo dai 27, non l’export britannico verso i 27. La Ue ha già fatto sapere che non intende reciprocare: i controlli scatteranno come previsto dal primo gennaio.

Sarà una delle questioni che verranno discusse lunedì nel summit virtuale tra Johnson e Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, per tentare di sbloccare l’impasse. I negoziati bilaterali si sono interrotti senza risultati, ma le due parti hanno concordato di riprendere gli incontri con maggiore frequenza in luglio.

Quali che siano le motivazioni del Governo britannico – il lancio di un salvagente alle imprese, una scelta forzata dovuta alla mancanza di preparazione o un modo di blandire le imprese che preferirebbero invece un buon accordo commerciale con la Ue – per le tante imprese italiane che esportano in Gran Bretagna l’annuncio di ieri è una boccata di ossigeno.

I controlli “morbidi” alla frontiera per sei mesi nel 2021 faciliteranno soprattutto le imprese che trattano merci fresche particolarmente soggette a ispezioni e vulnearabili a ritardi.

Il settore agroalimentare italiano, secondo fornitore del Regno Unito dopo la Francia con 3,4 miliardi di euro di prodotti esportati lo scorso anno, si stava preparando a un nuovo, arduo regime di controlli in dogana, nuove norme sulla sicurezza alimentari, variazioni delle etichette e così via. L’annuncio di Londra equivale a una sospensione della pena.

«L’annuncio britannico facilita le imprese italiane, ma sarà solo una misura temporanea -, spiega Massimo Carnelos, capo dell’Ufficio economico e commerciale dell’Ambasciata d’Italia a Londra -. Inoltre sicuramente non sarà reciprocato da parte Ue, e questo creerà una disparità di condizioni che potrebbe costringere la Gran Bretagna a fare marcia indietro».

Per molti imprenditori italiani i vantaggi dell’operare in Gran Bretagna sono comunque superiori agli svantaggi di Brexit.
«I controlli soft alla frontiera sono un’ottima notizia per noi, dimostrazione che la Gran Bretagna è una nazione di mercanti pragmatici e di buon senso -, afferma Chiara Medioli, group marketing director e vicepresidente del gruppo Fedrigoni –.

Noi intendiamo restare nel Regno Unito anche in caso di no deal, perché il nostro business è in fase di grande sviluppo e la supply chain è rimasta in piedi anche durante il lockdown».
L’apprezzamento per il pragmatismo britannico anche nei momenti difficili è condiviso da un’altra imprenditrice italiana in un settore del tutto diverso.
«Brexit mi preoccupa molto per l’impatto che potrà avere sulle capacità di sviluppo e di ripresa del Paese e anche perché l’isolamento non fa bene a nessun business -, spiega Sabrina Corbo, CEO di Green Network Energy -. L’abbinamento Brexit-Covid-19 sarà una tempesta perfetta, ma sono convinta che alla fine il senso pratico degli inglesi e la chiarezza delle regole smusserà gli angoli».

Le chance di un’uscita senza accordo della Gran Bretagna dalla Ue a fine anno sono aumentate in seguito all’annuncio definitivo di Londra che non chiederà un allungamento del periodo di transizione oltre il 31 dicembre.
«Un no deal apre un periodo di incertezza, che è il peggiore dei mali, soprattutto in combinazione diabolica con il virus -, afferma Pietro Maria Tantalo, partner dello studio legale Nctm -. Però le solide e valide ragioni per cui un’azienda italiana viene a Londra non vengono certo meno. Si tratterà di adattarsi a nuove regole, ma il mercato comunque non si chiuderà».